Non c’è posto più lontano dal tè della Valle. Qui lo si prende quando si è convalescenti, o almeno si sta male di stomaco; meglio se si è “signorine”, perché qualsiasi individuo dotato di un’identità più netta è impensabile che voglia bere quell’acqua colorata e tiepida. In effetti, il tè dal gusto di carta che si ottiene con le bustine qui si declina in un’ampia gamma di sapori bizzarri, derivanti dall’essere stato donato dagli emigranti che tornano dall’America portando con sé strane misture al mango, alla papaia, all’ananas, con vaghe presenza di forse tè sullo sfondo. Per soprammercato, non essendo tali miscugli amati da alcuno, giacciono sul fondo della credenza così a lungo da assumere infine sapori ancora più allarmanti e confusi, tra i quali l’aroma di erba secca è il più rassicurante. A casa di mia cugina Mentuccia le stesse credenze ove si conservano vasellami rivelano la grande assenza del gusto del tè; mentre le tazze da caffé si moltiplicano, quelle del tè scarseggiano, e se ne trovi due già sembra bastevole per la bisogna di portare la purga al malato.Bene, è in questo contesto ostile che mi provo a introdurre una cerimonia del tè fatta di locali attrazioni. Intanto recupero una tazza anni trenta dal bell’andamento rotondo e aperto, di ceramica verde, quindi la schiaffo su un vassoietto coevo assai decò. Metto della nebbia fuori dalla finestra, giù nella valle, come un mare sfumato e azzurrino acqattato tra i monti; poi faccio passare lo scoiattolo nero che abita in giardino sulla persiana. Accendo il camino, faccio calare la sera. Recupero due zuccheriere che mettano insieme la camera con il camino, con la sua credenza piena di porcellane sopravvissute, e la cucina con le sue sedie azzurre. La prima zuccheriera, la quasi pregiata, è ancora un oggetto decò, vuoto e riposto. La seconda, più antica, che deve essere lì almeno dall’inizio del secolo scorso, porta in sé infitto nello zucchero un cucchiaino souvenir di Los Angeles – di nuovo una traccia di quanti andarono lontano e si ricordarono di chi era restato – ha debite sbreccature e tuttora lavora a pieno ritmo. Potremmo leggere D’Annunzio o Carducci, in biblioteca c’è tutta la collezione acquistata man mano che tali libri venivano al mondo; ma io preferirei Verne, pure presente al completo. Sceglierei Viaggio al centro della Terra. Però potremmo anche leggere La Casa Ostile; sappiate che le possibilità sono davvero molte. Facciamo andare il giradischi anni cinquanta, oggetto qui modernissimo, con La Danza Macabra di Saint-Saëns, vivace e ironica. Cosa si mangia? Gli innocenti pirritini, la supercrostata di ricotta, le ciambelle con su il naspro come quelle che facevano le monache di clausura di Arpino, la ciambella morbida di Sora che nella sua tenue dolcezza sta benissimo con un salamino sapido, i mostaccioli che anticipano il Natale, come pure i torroncini di Alvito alla pasta di mandorle rivestita di cioccolato o fatti di croccante, ottimi; le gigantesche paste locali che bisogna tenere con due mani, i biscotti di farina gialla, le ciambellette al vino o zuccherine che fondono in bocca, le varie pizze dolci di uova burro e zucchero. Non chiedete più di tanto i salati, accontentatevi di quel salame, non possiamo chiedere troppo a queste latitudini. Il tè? Be’, no. Quello lo portiamo da Roma. Facciamo che ci portiamo un Mariage Frères nuovo di zecca, il ROUGE D'AUTOMNE 2008 al profumo di Marrons Glacés.Questo tè della Valle interloquisce con un tè preso a Dublino, arpeggiando sul tema del prendere un tè, suggerito da Twostella.
Pubblicato da a 20.24
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